Così Wikipedia descrive cosa fosse la “dittatura” nell’antica Roma repubblicana.
Il dittatore era una figura caratteristica dell’assetto della costituzione della Repubblica romana.
Era un magistrato straordinario eletto dal senato in caso di pericolo e la sua carica non poteva superare i sei mesi. Il dittatore non aveva alcun collega, e nominava come proprio subalterno il magister equitum (“comandante della cavalleria”). Inoltre, il dittatore non veniva eletto dalle assemblee popolari, come tutti gli altri magistrati, ma veniva dictus, cioè nominato, da uno dei consoli, di concerto con l’altro console e con il senato, seguendo un rituale che prevedeva la nomina di notte, in silenzio, in territorio romano. Cicerone e Varrone ricollegano l’etimologia del termine a questa particolare procedura di nomina. Per tutta la breve durata della carica il dittatore aveva pieni poteri ed era da solo al comando della Repubblica di Roma, quando lo Stato si trovava in un momento di crisi. Il suo potere però era limitato dalla durata semestrale del suo mandato e per questo non c’era continuità della carica in questione.
Ai giorni nostri la dittatura ha assunto ben altro significato. La mutazione nasce già con Roma antica, con Giulio Cesare, che assume una nuova veste di dittatore, permanente, non più a tempo, e con poteri assoluti non delimitati. E da quel momento inizia anche l’ascesa di Roma al culmine della sua potenza per concludersi poi nel suo crollo rovinoso.
Nei tempi moderni le dittature sono state, e sono ancora, poteri sostitutivi di quelli de regnanti assoluti, sempre fondate su un appoggio militare, sempre foriere di sventure, culminate in guerre o nella distruzione economica e sociale.
E veniamo a Mario Draghi: tutte le forze politiche, con un distinguo di Fratelli d’Italia, si sono inchinate di fronte all’uomo indicato dal destino, per l’occasione impersonato dal Presidente della Repubblica, affidando a SuperMario il compito di fare l’impossibile, cioè quello che tutti loro, gli un contro gli altri armati, non sono mai riusciti a fare, né in passato né recentemente.
Di fronte al proprio palese fallimento, di fronte ad una crisi profonda, irreversibile e di non breve durata, prevedibilmente, si sono affidati ad un solo uomo.
Se questa non è la nomina di un “dittatore” nell’accezione romano antica del termine, non so cos’altro potrebbe essere. L’appoggio parlamentare quasi plebiscitario, pur tra tanti mal di pancia, in bianco, cioè in assenza di un preciso programma di governo e di un elenco di ministri proposti, configura esattamente il ruolo del dittatore della Repubblica di Roma, e può essere effettivamente quello che ci serve in questo momento.
Ad alcune condizioni:
1. La nomina deve essere REALE, di sostanza, cioè deve prevedere l’accettazione delle scelte del “dittatore” senza la pretesa di condizionarle e manipolarle una volta formulate.
2. Visto che siamo nel 2021 e non qualche secolo prima di Cristo, le scelte del dittatore dovrebbero essere il risultato di sintesi di un VERO, SINCERO ED ATTENTO ASCOLTO, di tutte le parti in causa, pesando le ragioni degli uni e degli altri e poi scegliendo un percorso che non ricusi le istanze delle forze politiche più deboli a favore di quelle dei più forti, trovando soluzioni a carattere di equità, il cui essere tali non può, tuttavia, essere poi messo in discussione. Significa proporre e dibattere, “prima”, ma poi accettare senza discussioni le scelte, quali che siano.
3. Questo potere deve essere “pro tempore”, e qui dobbiamo chiederci quanto debba essere questo tempo. Pochi mesi, come chiedevano le destre, per poi andare a elezioni, oppure sino al termine formale della legislatura? Io credo che un governo di 6 mesi non sia neppure immaginabile, e tantomeno proponibile. Un governo “elettorale” lo affidi a chi ti pare, e non deve decidere nulla: non lo affidi a Draghi. Quindi la risposta è: sino a fine legislatura, un paio d’anni.
Su queste basi l’impegno delle forze politiche dovrebbe essere quello di trasformare il Parlamento, e non solo, in una “assemblea permanente” di analisi dei problemi e formulazione di proposte, senza mai pervenire ad una fase decisionale, demandata al giudizio insindacabile del Governo, con successiva approvazione parlamentare e conversione in legge IN ASSENZA DI EMENDAMENTI.
Questa “dittatura biennale” sarebbe una novità assoluta nel nostro panorama politico, e potrebbe anche porre le premesse per quella destrutturazione e riconversione delle forze politiche che è la necessaria premessa di qualsiasi sviluppo futuro che sia costruttivo e non conduca rapidamente a nuove situazioni di stallo.
Dopo due anni le forze politiche rinnovate potrebbero proporsi più credibilmente al Paese nella fase elettorale per ricostruire un Parlamento rinnovato ed un Governo all’altezza delle ambizioni di quello che fu il cuore della civiltà europea.
Potrei aggiungere che, se in questi due anni tutte le forze politiche e sociali si organizzassero seriamente per formulare una “nuova Costituzione” nazionale e su questa base i partiti si presentassero alle elezioni con una NUOVA COSTITUZIONE, frutto di una condivisione storica delle ragioni della nostra convivenza civile, allora avremmo toccato il cielo con un dito, ma forse questo è chiedere troppo.
Ing. Franco Puglia
Milano, 7 Febbraio 2021